Intelligenza e sentimento – I disegni di Gotthard Bonell (1970-2011)

Su Gotthard Bonell, artista che vive e lavora in Alto Adige e a Vienna, esiste tutta una serie di serrate pubblicazioni, dedicate a un gruppo di opere, a un medium particolare o a un tema, per esempio, il ritratto o il paesaggio. Non di rado, questi volumi hanno costituito per l’artista stesso dei resoconti effettuati al termine di una serie, possibilità di avere una visione d’insieme, comprendere dei nessi, in ogni caso, documentazioni di ciò che abbandonava l’atelier e si sottraeva allo sguardo dell’autore.

La presente antologia di disegni, che abbraccia un periodo di oltre quarant’anni, si differenzia in maniera fondamentale dagli intenti precedenti sia nelle esigenze che nel concetto. Essa è dedicata a un medium che per Bonell è centrale. Un medium che lo ha sempre accompagnato ed entusiasmato, ma che a causa del suo carattere intimo (per quanto riguarda i temi, ma anche i formati) è meno conosciuto rispetto ai suoi grandi quadri, i dipinti. Con il disegno ci troviamo di fronte a una straordinaria ricchezza di temi, ma anche a una molteplicità di metodi da lui stesso elaborati in più di quarant’anni. È stata un’impresa affascinante rintracciare i disegni nella lunga fase preparatoria cui insieme ci siamo dedicati, rinvenirli anche nel suo archivio, nella sua collezione personale, e poi raccoglierli. Straordinariamente raffinato e complesso in questi ultimi anni, il disegno corrisponde alla personalità di Bonell, al suo sguardo ossessivo che interiorizza la realtà trasformandola spesso in qualcosa di surreale, ambivalente o ambiguo. Si tratta della tecnica a lui più vicina. Egli non si stanca mai di sviluppare strategie estetiche sempre differenti con le quali modifica i suoi contenuti. Forma e contenuto si compongono in unità. Il linguaggio del suo disegno va da un rigoroso linearismo ad un lavoro totalmente affidato alla pura linea, fino a giungere a delle tecniche miste col raffinato impiego di matite colorate. Nei disegni più recenti, in cui crea delle dissolvenze di corpi e paesaggi, la fitta trama di linee, spesso sottili, ricorda il Bonell incisore. Con esse, con questo intreccio, egli crea paesaggi di corpi, un “giardino delle delizie” come l’ha definito Edith Schlocker, documenti di una sessualità polimorfa, che accendono i nostri sensi, stimolano la nostra immaginazione. All’arte del passato, alla tradizione, Bonell è legato in maniera duplice: da un lato, attraverso lo studio ininterrotto che tuttavia non scade mai in imitazione, dall’altro, grazie ai grandi temi – il ritratto e il nudo, la natura morta e il paesaggio – cui l’artista attribuisce sempre una notevole importanza, senza però sottrarsi mai a una sua interpretazione personale. Nella sua opera vige la dialettica di intelligenza e sentimento, uno sguardo gettato sulla realtà il cui carattere è sensistico e malinconico. Il paesaggio si fa corpo. I corpi (delle cose) hanno una vitalità feconda, ma sono al contempo documenti di decomposizione e di morte.

Abile ritrattista, oggi Bonell è uno dei pochi ad essere capace di riformulare la tensione fra ritrattista e ritratto trasformandola in capitale interpretativo. Le sue nature morte parlano. Robert Mapplethorpe ha considerato fiori e frutti quale espressione della sessualità della pianta e Bonell ne condivide lo sguardo ossessivo, le ossessioni erotiche. Se proprio nei ritratti dei suoi amici – pittori, scrittori e compositori – emerge una tensione fra l’intelligenza (anche conoscenza dei contributi artistici del passato) e il sentimento traboccante, un momento culminante a livello emotivo, ecco che la partecipazione umana, ma al contempo anche lo sguardo distaccato, è un importante motore d’inquietudine, una tensione che si avverte prima di tutto e soprattutto nei disegni, ovvero in quella forma più diretta d’esercitazione artistica e sismografica.

Bonell ha studiato a Venezia – a quel tempo, nelle accademie si preferiva discutere piuttosto che imparare o insegnare – e poi a Milano, ma dal virus italiano legato a una superficiale idea del bello si è ben presto liberato grazie all’amico H. E. Kalinowsky. Nei suoi primi lavori si individuano le tracce di stimolanti amicizie, come quella con Markus Vallazza, ma soprattutto le tracce dell’arte di per sé. A Milano sono i disegni di George Grosz e Otto Dix, da lui conosciuti personalmente; a Monaco, alla Haus der Kunst, l’artista vede invece la prima grande retrospettiva di Egon Schiele, la cui libertà gli è certo stata d’impulso.

I disegni di Bonell li ho visti per la prima volta nel 1982 alla Tiroler Galerie Thoman, dove erano esposti i suoi quaranta disegni risalenti al periodo del servizio militare. Ciò che allora mi affascinava, e tutt’oggi mi affascina, è l’enfasi dei suoi lavori, insieme alla loro autenticità. Già a quel tempo era presente l’interesse per i rapporti umani, la visione dell’arte quale possibilità d’interpretare il mondo, di superare la consapevolezza della crisi a livello psichico.

Ho seguito l’evoluzione di Gotthard Bonell in questo suo lungo percorso di quarant’anni – mai si è fermato – e insieme abbiamo fatto una cernita scegliendo fra i suoi quasi mille lavori. La sua opera l’ho vista sempre meno in un contesto italiano o austriaco; il suo isolamento l’ha certo tenuto lontano da determinati influssi, mentre lo vedo vicino all’arte inglese degli ultimi venticinque anni, ai disegni di Lucian Freud, David Hockney o Peter Blake, per citarne solo alcuni. Oltre che nell’ambito di quest’arte, lo si potrebbe collocare a volte anche nel contesto dei realisti spagnoli, soltanto che la sua tendenza alla trasformazione della realtà, la componente narrativa, ossessiva ed erotica finiscono col riportarlo nell’Europa centrale.

Peter Weiermair